lunedì 15 giugno 2020

Segni “troppo reali” per corse “poco virtuali”


Fine febbraio: intere zone del Paese sono in fibrillazione per la grave situazione sanitaria; numerose e strane polmoniti stanno colpendo non solo i vecchi. Codogno è dichiarata “zona rossa”. Nessuno entra, nessuno esce. Si pensa che sia sufficiente, d'altronde “...non siamo mica in Cina!”. Tutti i podisti sperano che sia un fuoco di paglia e che i mesi di allenamento non siano da buttare alle ortiche. Molte maratone sono alle porte: Bologna, Brescia, Milano, Roma etc. etc.; nessuno pensa che possano saltare. Ma la dura realtà piano piano prende il sopravvento. La situazione diventa tragica. DPCM 8 marzo: “Sull'intero territorio nazionale e' vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico ...”. Ad una a una le gare in calendario prima vengono sospese, poi alcune annullate, alcune posticipate. Ma non è tutto: non si può uscire di casa per correre, o meglio si può uscire ma con un limite di 200 metri dalla propria abitazione. Dopo un primo momento di smarrimento, ecco podisti “inventarsi” percorsi alternativi: chi si crea un percorso sul balcone, chi in casa, chi nelle aree comuni condominiali; i più fortunati possono correre in giardino.
A metà marzo sono diversi gli atleti che si cimentano su questi percorsi. La novità viene ripresa da numerosi siti di stampa locale, da siti che si occupano di podismo; anche i giornali danno ampio spazio a queste imprese (beh, con tutte le manifestazioni sportive annullate, dovevano pur occupare le colonne libere). Un termine, su tutti i mezzi di informazione, accompagna queste manifestazioni: “VIRTUALE”. Anche io mi sono creato un percorso in giardino: 62,5 metri la lunghezza, “CoronArena” il nome. Ma fin dalla preparazione del percorso mi sono accorto che il termine “virtuale” mal si addiceva alla maratona che dopo qualche giorno avrei corso su quel percorso. Per togliermi i dubbi, ho controllato il significato del termine “virtuale”, che forse non mi era ben chiaro. (TreccaniRepubblica). Diversi sono gli usi della parola virtuale. La definizione che più avvicina all'uso in questo contesto credo sia “ ...situazione simulata dal computer, con tutte le caratteristiche di quella reale, rispetto alla quale è possibile interagire”. In effetti la Formula 1, non potendo disputare Gran premi in pista, ha organizzato un Campionato Virtuale (SKY CircusF1). Piloti comodamente seduti sul divano della propria abitazione, aria condizionata se fa caldo, riscaldamento acceso se fa freddo e se piove … nessun problema: in casa si sta asciutti. Come secondo passo mi sono chiesto: la maratona che tracciato deve avere? Una rapida (anche se superficiale) consultazione delle regole. Nessuna limitazione al tracciato per omologare la maratona, solo alcune limitazioni per omologare la miglior prestazione ottenuta: dislivello max 42 metri, distanza tra località di partenza e di arrivo max 20 km. Bene, quindi si può definire “maratona” un percorso con una distanza di 42195 metri, anche se questa è ottenuta su un percorso più adatto ai criceti che ad un podista “sano di mente”! Dopo queste prime considerazioni, ecco in programma nel CoronArena la prima maratona, non una maratona “virtuale”, ma “pazza”, la “Crazy Marathon”.
Questa doveva essere la prima ed unica gare disputata nel CoronArena, ma la pazzia podistica è contagiosa e la settimana successiva in programma “Quarantine Half Marathon” (anche qui assente il termine virtuale). La differenza di questa gara sta nel fatto che è disputata da più atleti che corrono su percorsi diversi (tutti nel rispetto delle regole del DPCM). Forse più atleti che corrono su percorsi diversi possono giustificare il termine “virtuale” alla gara? La risposta mi viene fornita dalla “storia” podistica. Un nome, “Vivicittà”, una gara che si disputa in diverse città, ma che alla fine prevede venga stilata un'unica classifica! Per chi non conosce la manifestazione organizzata dalla UISP, ricordo che è nata il 1 aprile 1984. Anche qui nessun riferimento virtuale nella classifica finale né nella gara. (ricordo che la classifica apportava dei bonus e dei malus, secondo le difficoltà del tracciato).
Come me migliaia di atleti durante il lockdown hanno disputato gare in circuiti autogestiti, gare che mi ostino (forse sbagliando) a non chiamare “virtuali”.


A mia giustificazione, porto alcuni ”fatti reali”:
- reale era il mal di gambe e di schiena al termine di ogni singola gara,
- reale era la pioggia che mi ha bagnato, beh, solo per poco tempo,
- reale era il sangue dovuto ad una caduta
- reali erano i “bip” “bip” sul telefonino che mi avvisavano che i miei compagni di avventura avevano già terminato la loro gara,
- reale era il sudore che bagnava la mia maglietta,
- reale era l'avvertimento di Rossana: “Mi raccomando, non entrare in casa con quella maglietta puzzosa
- reale era la somma che ad ogni gara “pagavo” a favore di Enti ed Associazioni,
- ma soprattutto REALE era il mio impegno, profuso in tutte le manifestazioni corse nel CoronArena
Beh, questo è il mio pensiero. 

Se poi qualcuno vuole continuare e definire queste manifestazioni/gare come virtuali, nessun problema: lo invito volentieri a pranzo, naturalmente un pranzo … VIRTUALE!

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