martedì 4 febbraio 2025

La bellezza di una mezza maratona in solitaria al Parco Callioni

Cinque anni fa iniziava per tutti noi un periodo dove era il “malo male” a farla da padrone. Tempi bui per tutti e anche per noi malati di “maratonite”. All'inizio non si poteva neppure uscire fuori casa, ma noi “fuori di testa” ci siamo inventati le gare da criceto, chi nei giardini, chi sui terrazzi, chi negli scantinati. Mano a mano che il “malo male” veniva vinto e le restrizioni diventavano meno “ristrette”, si poteva iniziare a correre in “compagnia ma divisi”, non solo in gara, dove era la velocità diversa a fare la differenza, ma anche prima e dopo. Ecco quindi che correre da solo era per me diventata un'abitudine. Era? Ecco, molti lamentano che il “malo male” ha lasciato segni nel loro corpo e quindi non riescono più a correre con scioltezza; altri danno la colpa, per gli stessi problemi, alle vaccinazioni. Non entro in merito; io andavo piano prima e vado piano, beh, con il mio passo, anche ora. Le conseguenza per me sono state che ormai correre da solo è diventata più che un'abitudine quasi una necessità.
Ecco che oggi, invece di scegliere di correre una mezza maratona nella mia città, Bergamo, che qualche anno fa non mi sarei mai persa, ho scelto di correre e … vincere una mia gara.

Ci sono giorni in cui il richiamo della folla, della competizione e dell’adrenalina della città sembra irresistibile. Il cuore della mia Bergamo, con le sue strade affollate di runners e spettatori, è un luogo speciale per correre una mezza maratona. Ma questa volta, ho scelto diversamente. Ho preferito il silenzio, la natura, il respiro profondo dell’aria fresca del mattino. Ho scelto il Parco Callioni, un angolo di tranquillità che, passo dopo passo, mi ha regalato una corsa diversa.

Partire senza pettorale, ma con uno scopo

L’idea è nata quasi per caso. Avrei potuto iscrivermi alla mezza maratona cittadina, ma qualcosa dentro di me cercava un altro tipo di esperienza. Volevo sentire la corsa senza distrazioni, senza il ritmo imposto dagli altri, senza il battito accelerato dato dalla competizione. Così, in una mattina di cielo limpido e aria frizzante, ho allacciato le scarpe e mi sono incamminato verso il Parco Callioni, il mio piccolo tempio verde. L’aria era fresca, il sole ancora timido tra i rami. I primi passi sulla pista ciclabile mi hanno subito dato quella sensazione di libertà che solo certe corse sanno offrire. Nessun colpo di pistola a segnare la partenza, nessun tappeto rosso da calpestare all'arrivo, solo io, il battito regolare dei piedi sulla terra e il respiro che si sincronizzava con il battito del cuore.

Un ritmo scelto dal corpo, non dal cronometro

Nei primi chilometri, la tentazione di spingere forte c’era. Era la mente abituata alla gara che parlava. Ma ho scelto di ascoltare il mio corpo, di godermi il ritmo naturale, di lasciare che le gambe trovassero da sole la giusta andatura. Il sentiero del parco mi hanno offerto la varietà giusta per non rendere monotona la corsa. Ogni tanto qualche ciclista passava con un cenno di saluto, qualche camminatore mi incrociava, ma per la maggior parte del tempo ero solo io e il suono ovattato della natura. Un’esperienza lontana dalle strade cittadine, dal rimbombo dei passi sulle pietre, dal vociare degli spettatori.

Quando la fatica incontra la serenità

Arrivati al quindicesimo chilometro, la fatica ha iniziato a farsi sentire. In una gara tradizionale, a questo punto sarei stato circondato da altri runners, avrei cercato di agganciarmi a qualcuno per non mollare. Qui, invece, ero solo. Eppure, proprio in quella solitudine ho trovato una nuova forza. Ogni passo era una piccola vittoria personale, ogni giro di pista un motivo per continuare. Niente rifornimenti ufficiali, solo la mia borraccia e il ristoro offerto dalla natura: l’aria, il silenzio, la pace di un luogo che sembrava correre con me.

Tagliare un traguardo invisibile, ma significativo

L’ultimo chilometro l’ho corso con un sorriso. Non c’era un arco d’arrivo, nessuno speaker a chiamare il mio nome, nessuna medaglia da ricevere. Ma c’era la soddisfazione pura, quella che non ha bisogno di un tempo ufficiale o di un pettorale per essere vera.

Ho fermato il cronometro a 2h 36' 50” al termine dei 21,097 km. Un tempo lontano dai tempi migliori, ma in fondo non era quello il punto. Perché non sempre la corsa ha bisogno di essere condivisa con migliaia di persone per essere speciale. A volte, la bellezza sta proprio nel trovarsi soli con i propri passi, ascoltare il respiro della natura e sentirsi, per qualche istante, completamente liberi. Oggi non ho gareggiato contro nessuno. Ho corso per il piacere di farlo, lontano dal clamore e dalle strategie. E mentre tornavo a casa, con le gambe stanche ma la testa leggera, mi sono chiesto: “Non è forse questa la vera essenza della corsa?”.

1 commento:

  1. È veramente emozionante leggerti … mi sono anche rilassata seguendo il racconto della tua mezza in solitudine e in libertà ! Complimenti Fausto

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