Con la legge 211 del 20 luglio 2000 viene riconosciuto il 27 gennaio come "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti". Il 27 gennaio del 1945 è la data in cui le truppe sovietiche entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz. L'articolo 2 promuove “... cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione ...”. Ecco, con questo spirito di ricordo e riflessione, ho pensato di commemorare la giornata con una … maratona. Forse potrà sembrare strano e poco attinente all'occasione, ma credo che la mia scelta abbia una sua motivazione. Il mese di gennaio del 45 non fu il giorno in cui tutti i deportati dei campi di concentramento si ritrovarono liberi, ma per molti fu l'inizio di una “ultramaratona”, della quale parecchi non videro la linea del traguardo. Mi riferisco ai trasferimenti dei prigionieri dai campi di sterminio dell'ovest verso altri campi all'interno della Germania. I prigionieri vennero obbligati a marciare per decine, centinaia di chilometri, esposti alle intemperie, alla fame ed alla sete; chi non riusciva a mantenere il passo, perchè moribondo o stremato dalla stanchezza, veniva ucciso brutalmente dalle guardie con un colpo alla testa. Tali “ultramaratone” sono ricordate come “Marce della morte”.
Ecco il “mio” legame con la giornata del ricordo. Correre una maratona è ricordare.
Per avvicinarmi di più all'evento, per togliere alla mia corsa il solo significato sportivo ed avere un approccio più consono, ho deciso di correre la gara con delle piccole rinunce, che diano un piccolo significato in più all'evento. Oggi, durante la corsa, sempre di una gara in fondo si tratta, non assumerò null'altro che acqua: nessun gel integratore, nessuna bevanda salina e soprattutto niente tè caldo (vista la temperatura vicina allo zero sarebbe stato una buona idea); per la colazione del mattino solo una tazza di caffè e null'altro. Certo, questi piccoli accorgimenti sono lontani mille miglia dalle condizioni dei prigionieri a cui ho accennato sopra.
Oggi “Passo dopo passo” è la denominazione della mia maratona. Tale denominazione è stata mutuata da un discorso della senatrice Liliana Segre, che, nel raccontare la sua “Marcia della morte”, usa più volte l'espressione “Una gamba dopo l'altra...”, intendendo la sua volontà di non fermarsi, che avrebbe voluto dire morire, di andare avanti nonostante tutto e nonostante tutti, frase che ha dato il titolo al post. Giornata fredda. Beh, io sono abbastanza coperto, ho scarpe comode … niente a che vedere con le condizioni di chi doveva affrontare il cammino nel lontano 1945. Ricordi lontani, ora siamo più civilizzati, non ci sono persone che devono affrontare simili situazioni … Questo è un motivo di riflessione: “Siamo sicuri che sia così?”. Ah, è vero, ci sono migranti in Africa che attraversano il deserto in simili situazioni. Beh, lì devono affrontare il caldo e non il freddo. Ma in Europa, nella civile Europa, questo non succede più … Ecco, anche questo non è vero. Scorrono davanti ai miei occhi le immagini di profughi che con infradito e piedi nudi sono in viaggio su sentieri ghiacciati a pochi chilometri dai nostri confini. Inizio la corsa in compagnia di un mio personale “kapo”: Max, che ha deciso di accompagnarmi per un lungo tratto della mia maratona. Per mia fortuna è un carceriere-buono: non appena mi vede in difficoltà, non mi spara alla testa (beh, non mi prende neppure a calcioni), ma mi incoraggia a non mollare, a riprendere il ritmo. Mi rendo conto che più che un “kapo” è un “capo”, che accompagna un vecchietto nei momenti di difficoltà. In effetti, correre in sua compagnia rende più corto il giro. Lo so che non è così, ma mi piace pensare che sia così. Verso il 30° chilometro si ritira e mi lascia solo. Ora anche sulla pista non ci sono più persone: si sono ritirate nelle propria abitazioni per il pranzo. La giornata che dopo un inizio nuvoloso e freddo si era mutata in una giornata soleggiata, con un leggero aumento della temperatura, diventa in poco tempo nebbiosa e con un vento freddo. Tre giri alla fine; ho freddo e l'acqua del ristoro, a sua volta fredda, non rende agevole correre, ma … ecco tra la nebbia spuntare una figura a me nota: Rossana. Occasione giusta per fare in sua compagnia gli ultimi tre giri. Avrei pure la possibilità di avere dei ristori solidi che Rossana mi offre, ma rinuncio, fedele alla mia scelta iniziale. Oggi avevo in mente il tempo finale già in partenza, per essere almeno “spiritualmente” a fianco di Giordano “solo6ore”. “Sei ore” penserete. Eh, no, “solo6ore” è e deve essere unico. Concludo la mia maratona del ricordo con il tempo finale di 6h 00' 06”!
Sono sotto la doccia … calda. Il freddo è ormai uscito dalle ossa. Il mio sguardo cade sul tatuaggio del mio braccio sinistro: “IX divisione d'assalto Garibaldi …” Il mio pensiero va al caposquadra Tito, mio papà, che dopo l'8 settembre seppe scegliere la parte giusta in cui stare. Tutto sommato un pensiero positivo. Mi chiedo quali siano i pensieri di chi si ritrova sul braccio un numero che li ha marcati decenni fa...
Cosa dire, caro Fausto?! Questo è lo spirito di un vero Maratoneta. Ti abbraccio. Zio Pier
RispondiEliminaComplimenti x la tenacia e la forza mentale. E un ciao a Max l'uomo della provvidenza.
RispondiEliminaFausto, commento in forma anonima solo per non perdere tempo a registrarmi, sempre numero uno, sempre un passo avanti, sempre con le parole giuste, sempre con una gamba avanti l'altra e anche se come pacer valgo poco, grazie per le tue storie. Un abbraccio Sandro
RispondiEliminaHo avuto il piacere di fare un paio di giri insieme. Continua così. Luciano.
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