giovedì 30 luglio 2015

Sono un pellegrino! Sono un pellegrino?

Irun, 5 giugno. Osservo il timbro (sello) appena apposto sulla mia credenziale, il passaporto che mi trasforma da semplice viandante a Santiago di Compostela in qualcosa di diverso: ora “Sono un pellegrino!”.
Giorni di cammino su sentieri che si snodano in mezzo ai boschi o che costeggiano l'oceano; ripide salite o dolci discese; tranquilli sentieri in pianura accanto a mucche che dopo aver osservato gli strani viandanti continuano il loro pasto. Zaino in spalla, passo dopo passo, la meta si avvicina. Sempre fissa nella mente la convinzione della partenza: “Sono un pellegrino!”.
Si passa in piccoli paesi e grandi città. Sole, pioggia, vento, un passo dopo l'altro sempre avanti e dopo 32 giorni eccoci finalmente davanti alla Cattedrale di Santiago. Il nostro viaggio è terminato, la meta è stata raggiunta: “Sono un pellegrino!”.
“Pellegrino”, “peregrino”, “pèlegrin”, “pilger”, “pelgrì”... ecco la parola più gettonata al ritiro della compostela, il documento che certifica il compimento del pellegrinaggio... Ma qui si evidenziano le differenze. Ecco il responsabile di qualche tour operator che abbina decine di credenziali a decine di compostele. Qui i “pellegrini comodi” non si presentano nemmeno, non fanno la fila: probabilmente sono a prendere l'aperitivo in qualche bar con aria condizionata. Poi ci sono i “pellegrini ciclisti”. Personalmente non amo molto i ciclisti: sembrano i padroni dei sentieri, spesso mettono in difficoltà quelli che camminano arrivando veloci alle loro spalle e pretendendo strada. Bici che valgono migliaia di euro e non hanno nemmeno un campanello che costa solo pochi euro! Ci sono pure differenze per i pellegrini che hanno fatto il cammino a piedi: chi ha percorso tutto il cammino asserva dall'alto in basso chi ha fatto solo il tratto finale. Chi ha percorso il “Sentiero del Nord” si sente superiore a chi ha fatto “solo” il “Cammino Francese”... Mentre una volta il cammino era dettato dalla provenienza dei pellegrini, ora la scelta è fatta in base ad altri criteri, in quanto, generalmente, si raggiunge il luogo di partenza comodamente in areo. Non che l'ufficio che rilascia la credenziale sia meglio (almeno questo è il mio giudizio). Infatti pagando tre euro si ottiene una compostela che indica pure i chilometri percorsi. Forse questa compostela ha maggiore valore oppure serve solo per alimentare la vanagloria del pellegrino (?).
Alla confusione che si registra al ritiro della compostela si contrappone l'esiguo numero di pellegrini che presenziano alla riflessioni proposte da don Fabio, un sacerdote italiano, ora parroco di Arzua, che si è trasferito in Spagna per cercare di restituire un po' di spiritualità al Cammino di Santiago. La prima riflessione che ci ha proposto è stata proprio sul significato dell'essere “pellegrino”. Il pellegrino nel Medio Evo doveva attenersi strettamente a cinque regole: camminare in silenzio, fare il pellegrinaggio in solitaria, osservare un regime di semidigiuno (un solo pasto al giorno), riflettere sulla Passione del Vangelo di Marco, astenersi dai propri vizi.
 
Ecco quindi cadere tutte le differenziazioni fittizie dei pellegrini. Possiamo noi giudicare i pellegrini in base ai chilometri percorsi? È più pellegrino un giovane atleta che ha percorso 800 chilometri o un anziano, magari reduce da una delicata operazione, che percorre solo un tratto del cammino per ringraziare del buon esito dell'intervento?
Ecco quindi che l'affermazione “Sono un pellegrino!” si trasforma in una più dubbiosa domanda: “Sono (stato) un pellegrino?”. Semplice la domanda, più difficile la risposta, alla quale ognuno potrà dare la sua.
Probabilmente non sono stato un semplice camminatore; beh, diciamo che sono stato un “pellegrino”, con la “p” minuscola; per il prossimo cammino cercherò di trasformare la “p” da minuscola in maiuscola.

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